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martedì, 12 Novembre, 2024

Il gesuita Rocco Carbone da Oppido

L’oppidese Rocco Carbone faceva parte del ben numero di allievi del sarto Nicola Natale, che negli a. 30 erano stati spinti intenzionalmente o meno a farsi gesuiti. Il Natale, dopo un fratricidio commesso per paura di essere fatto fuori a sua volta, rientrato nella normalità oltre all’usato lavoro si era dedicato totalmente alla Chiesa e accudiva in vario modo al cosiddetto Calvario, oggi chiesa parrocchiale. Tra i tanti neofiti ricordo, oltre a quegli, Pasquale Marchetta e, probabilmente, Antonio Tripodi, che, dopo aver sofferto le afflizioni della guerra in quel di Napoli, si erano restituiti al paesello e alla famiglia naturale. Mi rammento soprattutto di Tripodi, che, appena rientrato, raccontava il periodo bellico trascorso in quella sede a schiere di persone che si affollavano nel forno di donna Liberata.

A un bel momento, con data 8 maggio 1995 e carta intestata Napoli Residenza dei Padri Gesuiti, mi è pervenuta la seguente lettera di fra Antonino Carbone, a me del tutto ignoto, che così si offriva:

«Anzitutto domando scusa della mia libertà, se mi permetto rivolgermi a Lei specialmente non conoscendola di persona, essendo lontano da Oppido essendo partito definitivamente dal 1934, per abbracciare la vita religiosa. (Un piccolo curriculum della mia vita) Sono nato a Tresilico il 16/8/1917. Trasferito di abitazione a Oppido nel 1938 abitando in via Mazzitelli n. 25 tra l’abitazione della famiglia Dott. Mittica e l’allora arciprete Minasi. Come apprendista sarto frequentavo la sartoria di Don Nicola Natale. A 17 anni sento la chiamata del Signore, entrando nella Compagnia di Gesù. Lo scopo di questa mia presente è raccontare quanto segue:

Lo scorso settembre recandomi negli Stati Uniti per trascorrere le vacanze, mio Fratello Peppino mi ha fatto vedere un suo opuscolo su Oppido Mamertina pubblicato non so quanti anni addietro, nelle pagine piene di foto ricordo delle vicende passate, ho intravisto una forse scattata nel cortile del seminario ai tempi dell’allora Vescovo Monsg. Peruzzo, Passionista. In quella foto mi sono riconosciuto che c’ero anch’io e mio fratello, riconoscendo tantissimi altri che non è il caso di descriverli tutti, comunque ne elenco alcuni (Cecè Coco, Ninì Polistena, Mario e Sarino Mittica, Gennarino Vergara, Peppe Zappia, Peppe De Masi, Vittorio Pentimalli, Ugo Simone, Giuseppe Albanese, Filippo Lentini, e tantissimi altri coetanei. Mi dirà e cosa vuole da me? Una semplice richiesta, se si trovasse ancora qualche opuscolo disponibile, ne dubito dopo molti anni non sarà cosa facile, mi farebbe cosa assai gradita poterlo avere come omaggio del mio 60simo di permanenza nella Compagnia di Gesù che se campo sarà 11 giugno. Si faccia una risata, tempo addietro vennero qui un gruppo di Oppidesi, guidati da Don Luigi Blefari, potete immaginare che non conoscevo nessuno di loro e sentendo che ero anch’io di Oppido, mi domandavano, e voi chi siete? Figuratevi nessuno di loro era ancora nato nel 1934 quando io sono partito da Oppido. Qui a Napoli c’è il Dott. Buda coi suoi, e ogni tanto viene nella nostra Chiesa la sorella Rosina che con piacere ci conosciamo dall’infanzia di Oppido. Finalmente termino col ringraziarla anticipatamente se per caso ha ancora qualche opuscolo pubblicato su Oppido, altrimenti ugualmente grazie sentite, un caro saluto agli Oppidesi».

I Buda si erano trasferiti a Napoli dopo l’omicidio commesso in danno dell’arciprete della cattedrale don Giovanni Sposato da uno di loro. Ho senz’altro risposto al frate oppidese inviando quanto nelle mie possibilità al tempo e quegli replicava il successivo 10 maggio ringraziandomi e mettendomi a parte di un grave frangente che lo aveva coinvolto in occasione della festa della Pastorella a Piminoro con preghiera di non farne parte. Quindi, m’informava che a 84 anni era deceduto il confratello e compaesano Salvatore Barbaro, mentre era ancora in vita p. Vincenzo Pezzimenti. Ho visto varie volte quest’ultimo a Oppido, dove perveniva spesso. Era considerato persona molto colta e gran predicatore. Nel congedarsi il buon frate si rammaricava per i tempi che si vivevano: «sono cambiati quei tempi di abbondanza delle vocazioni alla vita consagrata, preghiamo che il Signore faccia nascere sempre il desiderio di consagrarsi al Signore».

Il rapporto col Carbone si è protratto almeno fino al dicembre dell’anno 2000 e ogni volta le occasioni si susseguivano. In particolare non dimenticava di farsi vivo per l’onomastico e le festività natalizie. In qualche occasione ha tenuto a farmi avere varie copie della rivista “Societas” che si stampava in quel di Napoli.

Un ultimo contatto anche se a distanza si è verificato in occasione di una gita fatta con amici proprio in quel di Napoli. È stata davvero una ben strana coincidenza. Lasciati gli amici al Maschio Angioino, ho pensato di recarmi nei vari posti che conoscevo a sbirciare tra le pubblicazioni di carattere meridionale, quindi intorno a piazza Cavour. Stavo sorbendo un gelato quando mi son trovato davanti alla chiesa del Gesù Nuovo e quindi alla sede dei frati. Subito, con ancora il gelato in mano, mi son dato a contattare il frate portinaio. Questo il breve colloquio intercorso tra me e un fratone piuttosto prosperoso:

  • Buona sera. Gradirei parlare con fra Carbone.
  • Vui vuliti parlà cu’ fra Carbone?
  • Si, voglio parlare con fra Carbone.
  • Ma chillu è muortu!
  • Morto! Quando?
  • Ieri. È ancora nella cappella. Volete visitarlo?
  • No, grazie, arrivederci!

Davvero strani casi del destino! Quando si dice la realtà romanzesca!

L’oppidese Rocco Carbone faceva parte del ben numero di allievi del sarto Nicola Natale, che negli a. 30 erano stati spinti intenzionalmente o meno a farsi gesuiti. Il Natale, dopo un fratricidio commesso per paura di essere fatto fuori a sua volta, rientrato nella normalità oltre all’usato lavoro si era dedicato totalmente alla Chiesa e accudiva in vario modo al cosiddetto Calvario, oggi chiesa parrocchiale. Tra i tanti neofiti ricordo, oltre a quegli, Pasquale Marchetta e, probabilmente, Antonio Tripodi, che, dopo aver sofferto le afflizioni della guerra in quel di Napoli, si erano restituiti al paesello e alla famiglia naturale. Mi rammento soprattutto di Tripodi, che, appena rientrato, raccontava il periodo bellico trascorso in quella sede a schiere di persone che si affollavano nel forno di donna Liberata.

A un bel momento, con data 8 maggio 1995 e carta intestata Napoli Residenza dei Padri Gesuiti, mi è pervenuta la seguente lettera di fra Antonino Carbone, a me del tutto ignoto, che così si offriva:

«Anzitutto domando scusa della mia libertà, se mi permetto rivolgermi a Lei specialmente non conoscendola di persona, essendo lontano da Oppido essendo partito definitivamente dal 1934, per abbracciare la vita religiosa. (Un piccolo curriculum della mia vita) Sono nato a Tresilico il 16/8/1917. Trasferito di abitazione a Oppido nel 1938 abitando in via Mazzitelli n. 25 tra l’abitazione della famiglia Dott. Mittica e l’allora arciprete Minasi. Come apprendista sarto frequentavo la sartoria di Don Nicola Natale. A 17 anni sento la chiamata del Signore, entrando nella Compagnia di Gesù. Lo scopo di questa mia presente è raccontare quanto segue:

Lo scorso settembre recandomi negli Stati Uniti per trascorrere le vacanze, mio Fratello Peppino mi ha fatto vedere un suo opuscolo su Oppido Mamertina pubblicato non so quanti anni addietro, nelle pagine piene di foto ricordo delle vicende passate, ho intravisto una forse scattata nel cortile del seminario ai tempi dell’allora Vescovo Monsg. Peruzzo, Passionista. In quella foto mi sono riconosciuto che c’ero anch’io e mio fratello, riconoscendo tantissimi altri che non è il caso di descriverli tutti, comunque ne elenco alcuni (Cecè Coco, Ninì Polistena, Mario e Sarino Mittica, Gennarino Vergara, Peppe Zappia, Peppe De Masi, Vittorio Pentimalli, Ugo Simone, Giuseppe Albanese, Filippo Lentini, e tantissimi altri coetanei. Mi dirà e cosa vuole da me? Una semplice richiesta, se si trovasse ancora qualche opuscolo disponibile, ne dubito dopo molti anni non sarà cosa facile, mi farebbe cosa assai gradita poterlo avere come omaggio del mio 60simo di permanenza nella Compagnia di Gesù che se campo sarà 11 giugno. Si faccia una risata, tempo addietro vennero qui un gruppo di Oppidesi, guidati da Don Luigi Blefari, potete immaginare che non conoscevo nessuno di loro e sentendo che ero anch’io di Oppido, mi domandavano, e voi chi siete? Figuratevi nessuno di loro era ancora nato nel 1934 quando io sono partito da Oppido. Qui a Napoli c’è il Dott. Buda coi suoi, e ogni tanto viene nella nostra Chiesa la sorella Rosina che con piacere ci conosciamo dall’infanzia di Oppido. Finalmente termino col ringraziarla anticipatamente se per caso ha ancora qualche opuscolo pubblicato su Oppido, altrimenti ugualmente grazie sentite, un caro saluto agli Oppidesi».

I Buda si erano trasferiti a Napoli dopo l’omicidio commesso in danno dell’arciprete della cattedrale don Giovanni Sposato da uno di loro. Ho senz’altro risposto al frate oppidese inviando quanto nelle mie possibilità al tempo e quegli replicava il successivo 10 maggio ringraziandomi e mettendomi a parte di un grave frangente che lo aveva coinvolto in occasione della festa della Pastorella a Piminoro con preghiera di non farne parte. Quindi, m’informava che a 84 anni era deceduto il confratello e compaesano Salvatore Barbaro, mentre era ancora in vita p. Vincenzo Pezzimenti. Ho visto varie volte quest’ultimo a Oppido, dove perveniva spesso. Era considerato persona molto colta e gran predicatore. Nel congedarsi il buon frate si rammaricava per i tempi che si vivevano: «sono cambiati quei tempi di abbondanza delle vocazioni alla vita consagrata, preghiamo che il Signore faccia nascere sempre il desiderio di consagrarsi al Signore».

Il rapporto col Carbone si è protratto almeno fino al dicembre dell’anno 2000 e ogni volta le occasioni si susseguivano. In particolare non dimenticava di farsi vivo per l’onomastico e le festività natalizie. In qualche occasione ha tenuto a farmi avere varie copie della rivista “Societas” che si stampava in quel di Napoli.

Un ultimo contatto anche se a distanza si è verificato in occasione di una gita fatta con amici proprio in quel di Napoli. È stata davvero una ben strana coincidenza. Lasciati gli amici al Maschio Angioino, ho pensato di recarmi nei vari posti che conoscevo a sbirciare tra le pubblicazioni di carattere meridionale, quindi intorno a piazza Cavour. Stavo sorbendo un gelato quando mi son trovato davanti alla chiesa del Gesù Nuovo e quindi alla sede dei frati. Subito, con ancora il gelato in mano, mi son dato a contattare il frate portinaio. Questo il breve colloquio intercorso tra me e un fratone piuttosto prosperoso:

  • Buona sera. Gradirei parlare con fra Carbone.
  • Vui vuliti parlà cu’ fra Carbone?
  • Si, voglio parlare con fra Carbone.
  • Ma chillu è muortu!
  • Morto! Quando?
  • Ieri. È ancora nella cappella. Volete visitarlo?
  • No, grazie, arrivederci!

Davvero strani casi del destino! Quando si dice la realtà romanzesca!

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