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venerdì, 26 Aprile, 2024

Tipografia Olita 1953-2018. Storia di una famiglia e di un mestiere

“I caratteri mobili, la stampa sono stati una delle grandi rivoluzioni della storia umana, lo strumento che ha permesso di sostituire all’immobilità pietrificata di una certezza dogmatica l’originalità di un «perpetuo movimento». Bisognerà arrivare a Internet, alle sterminate (e pericolose) praterie informatiche della conoscenza, per trovare una rivoluzione di uguale portata, avendo sempre in mente, comunque, che Internet è stata possibile perché cinque secoli prima c’era stata la stampa.”

Corrado Augias

Rocco Olita mi accoglie nei locali di quella che era la Tipografia Olita, la sua tipografia.  Lo spazio è enorme e i ricordi di una famiglia che ha intrecciato la sua storia con quelli di un mestiere che sta scomparendo, sono tanti.

Come nasce la tipografia Olita?

La tipografia Olita nasce nel 1953, mio padre aveva cominciato come apprendista presso la tipografia Nuccio di Potenza, dove mio nonno faceva il macchinista. Quando poi è venuto meno, ha preso il suo posto. Nel 1953 con il famoso boom economico del dopoguerra, mio padre decide di mettere su la sua tipografia, che  si trovava nel vicolo Menizzotti, erano tre stanzette e ci aveva messo queste macchine che però erano già obsolete, in quel periodo cominciavano a nascere i primi modelli meccanizzati, automatici, ma i tempi erano quelli che erano e bisognava partire. Aiutato anche dal fratello che nel frattempo era tornato dal Venezuela dov’era emigrato, che aveva motorizzato le macchine. All’epoca funzionava così: c’era un unico motore con diverse cinghie di trasmissione che facevano girare uno o due macchine a seconda di dove si mettevano. Lui raccontava sempre, ad esempio, che ha dovuto abbattere un muro in maniera molto silenziosa per poter far entrare una macchina che non ci entrava e poi richiuderlo!

Che cosa si stampava in quel periodo?

Tutti quei quotidiani che oggi non ci sono più, teniamo presente che Potenza è sempre stato un mercato di rilievo, per cui il comune, la provincia, tanti enti locali, le scuole, si rivolgevano alle tipografie per stampare tutto l’occorrente: i registri, domande, modelli…

La tipografia era funzionale alle esigenze della città ma anche della provincia, perché non in tutti i comuni c’erano le tipografie e  il fatto di dover anche consegnare il materiale nei comuni della provincia, con le strade di una volta,  era un bell’ingaggio ma soprattutto un’avventura!

Quante tipografie c’erano all’epoca?

Nella provincia di Potenza ce n’erano tre – quattro quasi tutte distribuite nel capoluogo. La più antica era Cappiello che stava nel vicolo di Penitente, piccolina, di 50mq che comunque aveva due macchine. C’è da dire che all’epoca si componeva a mano e per fare un manifesto, ci volevano due / tre giorni: il testo si scriveva a mano, una lettera alla volta, spesso capitava che mancassero delle lettere e allora bisognava ricominciare da capo cambiando carattere, oppure stampare mezzo manifesto alla volta, piegarlo, comporre il resto del testo e stamparlo! Erano delle belle esperienze, che io in qualche modo ho vissuto, perché mio padre mi ha insegnato la vecchia scuola: il cassetto tipografico così com’erano divise le lettere, l’ho dovuto studiare perché ho dovuto comporre anche io, infatti quando si dovevano stampare i manifesti mortuali o manifesti di ringraziamento da parte delle famiglie per un totale di dieci/quindici copie le facevamo con il vecchio metodo.

Per le immagini come si faceva?

Si usava la serigrafia, si tratta di una tecnica particolare, veniva fatto una sorta di acido che corrodeva la parte che non doveva essere stampata. Ma a Potenza non c’era, quindi le immagini si mandavano a Napoli, oppure molto spesso mio padre la mattina presto partiva per Napoli, presso il vicolo dei librai e aspettava che facessero il clichè, ci volevano due/tre ore, nel frattempo comprava anche la carta perché a Potenza non si trovava e  poi ritornava con la sua seicento dove aveva eliminato il sedile posteriore perché carico di cose! La sera stampava e la mattina ripartiva, un lavoro enorme ma che solo un pioniere come lui poteva fare.

Com’era il rapporto con tuo padre?

Mio padre avrebbe voluto che io facessi un altro mestiere, mi voleva seduto dietro ad una scrivania, ma io ho sempre amato la meccanica. Quando c’era lo sciopero oppure facevo filone, me ne andavo sempre in tipografia e lui mi rimproverava sempre, su questo eravamo in contrasto. Infatti lui non mi ha insegnato molto, quello che so l’ho imparato osservando lui e gli altri e quando andavano via, io cercavo di mettere in pratica quello che avevo visto fare.

Senza dubbio il mio lavoro è stata la mia grande passione.

In che cosa è stato pioniere tuo padre?

È stato un pioniere con la linotype, uno dei primi ad averla a Potenza. Si trattava di una macchina che sostituiva il compositore, invece di mettere le lettere uno dietro l’altra, si componeva sulla tastiera. Diciamo che era il prototipo della macchina da scrivere. Grazie a questa macchina, si produceva più velocemente e con più precisione e questo gli ha permesso di fare un salto di qualità, tanto che il poligrafo ci aveva scelti per stampare le schede elettorali. All’epoca le tipografie venivano indicate dalla prefettura che valutava quali fossero idonee per serietà, caratteristiche, capacità, produttività, velocità a stampare le schede elettorali. La tipografia di mio padre era quella indicata per la provincia di Potenza.

Poi quando è cambiato il modo di stampare, è stato anche il primo ad usare la litografia, che all’epoca costava moltissimo ma che ha velocizzato la produzione.

Nel corso degli anni avete mai rifiutato delle richieste di stampa?

Sì, è capitato sia a mio padre che a me, quando avevamo di fronte dei clienti che pensavano di conoscere il nostro mestiere, e s’improvvisavano impaginatori, grafici solo perché possedevano un computer, oppure quando ci dicevano che eravamo troppo cari, ma anche quando il cliente non sapeva cosa voleva.

Quali sono stati i momenti di svolta?

Ce ne sono stati due: il primo nel 1962, che io non ho vissuto perché troppo piccolo, ed è stato quando la tipografia si è spostata nei locali di via Mazzini di 300mq per l’epoca era uno spazio enorme.  Cominciammo a mettere le macchine automatiche ed in quella sede la tipografia è cresciuta moltissimo, cercando di essere sempre all’avanguardia. Lì, ad esempio, è nata la rotografia, quando nel 1974 mio padre decise di comprare la prima macchina litografica. Il secondo momento invece è stato nel 1980 dopo il terremoto, quando ci siamo trasferiti in via della tecnica, 1200mq di officina, dove sono riuscito a coronare il mio sogno, quello di vedere un’azienda con una quattro colori in linea. Sempre in quell’anno abbiamo comprato la prima fotocomposizione cioè il primo computer dedicato alla stampa.

Tanta esperienza sul campo ma anche tanta formazione.

Si è cosi, per esempio per la prima fotocomposizione, feci un corso di tre mesi a Milano per imparare questa tecnica. In quell’occasione ho capito che se il computer ci stava dando una mano, questo significava anche la fine della vera tipografia, perché toglieva tutto quello che si era fatto fino ad allora.

Quando hai cominciato ad affiancare tuo padre nella gestione dell’azienda eravate sulla stessa lunghezza d’onda?

Mio padre si fidava tantissimo di me, quando ha capito che ero molto bravo tecnicamente mi ha lasciato fare. Tant’è che le ultime attrezzature che abbiamo comprato erano per mia scelta e valutazione, ma lui era un pioniere quindi era una persona aperta al futuro, ha lasciato il suo posto solo quando ha ritenuto che io fossi capace di gestire la sua creatura.

Qual è stata la commissione che ti dato più soddisfazione?

Era il 1985 e il poligrafo ci ordinò la stampa di 13 referendum. Un lavoro enorme da sbrigare in una settimana, e stampare tante copie non era possibile, a quel punto decisi in accordo con le prefettura di avvalermi dell’aiuto di alcuni colleghi. Dei 13 referendum ne stampai 9, ed è stata la prima volta che ho visto la mia azienda a pieno regime giorno e notte! È stato drammatico ma bellissimo.

Quali sono stati i fattori che hanno portato alla chiusura della tipografia Olita?

L’avvento del computer ma anche l’abolizione della carta: ora tutto avviene per via telematica, le domande, la posta, la stessa pubblicità. Il mio mondo è stata la carta, io facevo comunicazione con la carta, se la comunicazione è stata sostituita dal computer come faccio a continuare nel mio mestiere? Lo stesso discorso vale per l’editoria ed i quotidiani, sono anni che stanno soffrendo, le edicole stanno scomparendo. Insomma si stanno perdendo dei mestieri e delle arti.

Quando ti sei accorto che il mondo stava cambiando velocemente come hai reagito?

Come azienda ho provato a mettere il personale in cassa integrazione, per me ha significato compiere un tradimento perché il personale era la mia famiglia. Avevo tanta rabbia, infatti mi sono accanito con un martello sulle macchine, ho distrutto una rototype che è stata la prima cosa che mi è capitata sottomano. Mi sono reso conto di essere con le spalle al muro, perché stava scomparendo un mondo.

Ed è in questo momento difficile che hai conosciuto Felice?

Sì, erano giorni difficili ed ero ben deciso a distruggere tutte le macchine. Avevo chiesto ai musei della stampa di Milano e Lecce di prendersi le mie macchine, ma loro mi avevano risposto che non avevano soldi  per venirle a ritirare, avevo proposto anche al comune di Potenza di creare un museo della stampa ma senza riscontro. Ero in procinto di distruggerle quando tramite amici in comune, ho conosciuto Felice che si è offerto di venire a ritirare le macchine e custodirle nella sua emeroteca a Ruoti.

Avrei voluto un epilogo diverso, perché la Tipografia Olita è un pezzo di storia non solo della mia  famiglia ma di una città, Potenza. Rappresenta la storia della tipografia stessa perché le macchine che ho donato a Felice sono modelli che non si trovano più in giro.

Va bene così, da domani nella Tipografia Olita non ci saranno più le macchine,  ma troverete l’Associazione Italiana Assistenza Spastici, non so se fosse destino, ma l’ultima fattura della tipografia risale a dicembre 2017 fatta proprio ad un volontario AIAS.

“I caratteri mobili, la stampa sono stati una delle grandi rivoluzioni della storia umana, lo strumento che ha permesso di sostituire all’immobilità pietrificata di una certezza dogmatica l’originalità di un «perpetuo movimento». Bisognerà arrivare a Internet, alle sterminate (e pericolose) praterie informatiche della conoscenza, per trovare una rivoluzione di uguale portata, avendo sempre in mente, comunque, che Internet è stata possibile perché cinque secoli prima c’era stata la stampa.”

Corrado Augias

Rocco Olita mi accoglie nei locali di quella che era la Tipografia Olita, la sua tipografia.  Lo spazio è enorme e i ricordi di una famiglia che ha intrecciato la sua storia con quelli di un mestiere che sta scomparendo, sono tanti.

Come nasce la tipografia Olita?

La tipografia Olita nasce nel 1953, mio padre aveva cominciato come apprendista presso la tipografia Nuccio di Potenza, dove mio nonno faceva il macchinista. Quando poi è venuto meno, ha preso il suo posto. Nel 1953 con il famoso boom economico del dopoguerra, mio padre decide di mettere su la sua tipografia, che  si trovava nel vicolo Menizzotti, erano tre stanzette e ci aveva messo queste macchine che però erano già obsolete, in quel periodo cominciavano a nascere i primi modelli meccanizzati, automatici, ma i tempi erano quelli che erano e bisognava partire. Aiutato anche dal fratello che nel frattempo era tornato dal Venezuela dov’era emigrato, che aveva motorizzato le macchine. All’epoca funzionava così: c’era un unico motore con diverse cinghie di trasmissione che facevano girare uno o due macchine a seconda di dove si mettevano. Lui raccontava sempre, ad esempio, che ha dovuto abbattere un muro in maniera molto silenziosa per poter far entrare una macchina che non ci entrava e poi richiuderlo!

Che cosa si stampava in quel periodo?

Tutti quei quotidiani che oggi non ci sono più, teniamo presente che Potenza è sempre stato un mercato di rilievo, per cui il comune, la provincia, tanti enti locali, le scuole, si rivolgevano alle tipografie per stampare tutto l’occorrente: i registri, domande, modelli…

La tipografia era funzionale alle esigenze della città ma anche della provincia, perché non in tutti i comuni c’erano le tipografie e  il fatto di dover anche consegnare il materiale nei comuni della provincia, con le strade di una volta,  era un bell’ingaggio ma soprattutto un’avventura!

Quante tipografie c’erano all’epoca?

Nella provincia di Potenza ce n’erano tre – quattro quasi tutte distribuite nel capoluogo. La più antica era Cappiello che stava nel vicolo di Penitente, piccolina, di 50mq che comunque aveva due macchine. C’è da dire che all’epoca si componeva a mano e per fare un manifesto, ci volevano due / tre giorni: il testo si scriveva a mano, una lettera alla volta, spesso capitava che mancassero delle lettere e allora bisognava ricominciare da capo cambiando carattere, oppure stampare mezzo manifesto alla volta, piegarlo, comporre il resto del testo e stamparlo! Erano delle belle esperienze, che io in qualche modo ho vissuto, perché mio padre mi ha insegnato la vecchia scuola: il cassetto tipografico così com’erano divise le lettere, l’ho dovuto studiare perché ho dovuto comporre anche io, infatti quando si dovevano stampare i manifesti mortuali o manifesti di ringraziamento da parte delle famiglie per un totale di dieci/quindici copie le facevamo con il vecchio metodo.

Per le immagini come si faceva?

Si usava la serigrafia, si tratta di una tecnica particolare, veniva fatto una sorta di acido che corrodeva la parte che non doveva essere stampata. Ma a Potenza non c’era, quindi le immagini si mandavano a Napoli, oppure molto spesso mio padre la mattina presto partiva per Napoli, presso il vicolo dei librai e aspettava che facessero il clichè, ci volevano due/tre ore, nel frattempo comprava anche la carta perché a Potenza non si trovava e  poi ritornava con la sua seicento dove aveva eliminato il sedile posteriore perché carico di cose! La sera stampava e la mattina ripartiva, un lavoro enorme ma che solo un pioniere come lui poteva fare.

Com’era il rapporto con tuo padre?

Mio padre avrebbe voluto che io facessi un altro mestiere, mi voleva seduto dietro ad una scrivania, ma io ho sempre amato la meccanica. Quando c’era lo sciopero oppure facevo filone, me ne andavo sempre in tipografia e lui mi rimproverava sempre, su questo eravamo in contrasto. Infatti lui non mi ha insegnato molto, quello che so l’ho imparato osservando lui e gli altri e quando andavano via, io cercavo di mettere in pratica quello che avevo visto fare.

Senza dubbio il mio lavoro è stata la mia grande passione.

In che cosa è stato pioniere tuo padre?

È stato un pioniere con la linotype, uno dei primi ad averla a Potenza. Si trattava di una macchina che sostituiva il compositore, invece di mettere le lettere uno dietro l’altra, si componeva sulla tastiera. Diciamo che era il prototipo della macchina da scrivere. Grazie a questa macchina, si produceva più velocemente e con più precisione e questo gli ha permesso di fare un salto di qualità, tanto che il poligrafo ci aveva scelti per stampare le schede elettorali. All’epoca le tipografie venivano indicate dalla prefettura che valutava quali fossero idonee per serietà, caratteristiche, capacità, produttività, velocità a stampare le schede elettorali. La tipografia di mio padre era quella indicata per la provincia di Potenza.

Poi quando è cambiato il modo di stampare, è stato anche il primo ad usare la litografia, che all’epoca costava moltissimo ma che ha velocizzato la produzione.

Nel corso degli anni avete mai rifiutato delle richieste di stampa?

Sì, è capitato sia a mio padre che a me, quando avevamo di fronte dei clienti che pensavano di conoscere il nostro mestiere, e s’improvvisavano impaginatori, grafici solo perché possedevano un computer, oppure quando ci dicevano che eravamo troppo cari, ma anche quando il cliente non sapeva cosa voleva.

Quali sono stati i momenti di svolta?

Ce ne sono stati due: il primo nel 1962, che io non ho vissuto perché troppo piccolo, ed è stato quando la tipografia si è spostata nei locali di via Mazzini di 300mq per l’epoca era uno spazio enorme.  Cominciammo a mettere le macchine automatiche ed in quella sede la tipografia è cresciuta moltissimo, cercando di essere sempre all’avanguardia. Lì, ad esempio, è nata la rotografia, quando nel 1974 mio padre decise di comprare la prima macchina litografica. Il secondo momento invece è stato nel 1980 dopo il terremoto, quando ci siamo trasferiti in via della tecnica, 1200mq di officina, dove sono riuscito a coronare il mio sogno, quello di vedere un’azienda con una quattro colori in linea. Sempre in quell’anno abbiamo comprato la prima fotocomposizione cioè il primo computer dedicato alla stampa.

Tanta esperienza sul campo ma anche tanta formazione.

Si è cosi, per esempio per la prima fotocomposizione, feci un corso di tre mesi a Milano per imparare questa tecnica. In quell’occasione ho capito che se il computer ci stava dando una mano, questo significava anche la fine della vera tipografia, perché toglieva tutto quello che si era fatto fino ad allora.

Quando hai cominciato ad affiancare tuo padre nella gestione dell’azienda eravate sulla stessa lunghezza d’onda?

Mio padre si fidava tantissimo di me, quando ha capito che ero molto bravo tecnicamente mi ha lasciato fare. Tant’è che le ultime attrezzature che abbiamo comprato erano per mia scelta e valutazione, ma lui era un pioniere quindi era una persona aperta al futuro, ha lasciato il suo posto solo quando ha ritenuto che io fossi capace di gestire la sua creatura.

Qual è stata la commissione che ti dato più soddisfazione?

Era il 1985 e il poligrafo ci ordinò la stampa di 13 referendum. Un lavoro enorme da sbrigare in una settimana, e stampare tante copie non era possibile, a quel punto decisi in accordo con le prefettura di avvalermi dell’aiuto di alcuni colleghi. Dei 13 referendum ne stampai 9, ed è stata la prima volta che ho visto la mia azienda a pieno regime giorno e notte! È stato drammatico ma bellissimo.

Quali sono stati i fattori che hanno portato alla chiusura della tipografia Olita?

L’avvento del computer ma anche l’abolizione della carta: ora tutto avviene per via telematica, le domande, la posta, la stessa pubblicità. Il mio mondo è stata la carta, io facevo comunicazione con la carta, se la comunicazione è stata sostituita dal computer come faccio a continuare nel mio mestiere? Lo stesso discorso vale per l’editoria ed i quotidiani, sono anni che stanno soffrendo, le edicole stanno scomparendo. Insomma si stanno perdendo dei mestieri e delle arti.

Quando ti sei accorto che il mondo stava cambiando velocemente come hai reagito?

Come azienda ho provato a mettere il personale in cassa integrazione, per me ha significato compiere un tradimento perché il personale era la mia famiglia. Avevo tanta rabbia, infatti mi sono accanito con un martello sulle macchine, ho distrutto una rototype che è stata la prima cosa che mi è capitata sottomano. Mi sono reso conto di essere con le spalle al muro, perché stava scomparendo un mondo.

Ed è in questo momento difficile che hai conosciuto Felice?

Sì, erano giorni difficili ed ero ben deciso a distruggere tutte le macchine. Avevo chiesto ai musei della stampa di Milano e Lecce di prendersi le mie macchine, ma loro mi avevano risposto che non avevano soldi  per venirle a ritirare, avevo proposto anche al comune di Potenza di creare un museo della stampa ma senza riscontro. Ero in procinto di distruggerle quando tramite amici in comune, ho conosciuto Felice che si è offerto di venire a ritirare le macchine e custodirle nella sua emeroteca a Ruoti.

Avrei voluto un epilogo diverso, perché la Tipografia Olita è un pezzo di storia non solo della mia  famiglia ma di una città, Potenza. Rappresenta la storia della tipografia stessa perché le macchine che ho donato a Felice sono modelli che non si trovano più in giro.

Va bene così, da domani nella Tipografia Olita non ci saranno più le macchine,  ma troverete l’Associazione Italiana Assistenza Spastici, non so se fosse destino, ma l’ultima fattura della tipografia risale a dicembre 2017 fatta proprio ad un volontario AIAS.

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