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venerdì, 26 Aprile, 2024

Giuseppe Occhiato

Pepè Occhiato, com’era amichevolmente chiamato, è nato a Mileto il 10 novembre 1934 ed è morto a Firenze il 22 gennaio 2010. Orfano di entrambi i genitori ad un paio di anni di età soltanto (il padre è deceduto sulla nave mentre rientrava dall’Etiopia, la madre l’anno successivo), è stato affidato alla nonna materna. Ha frequentato il ciclo scolastico al liceo classico di Vibo Valentia e si è laureato in lettere moderne all’Università di Messina nel 1970 con una tesi sulla cattedrale di Gerace. Ha insegnato storia dell’arte e quindi ha avuto la nomina a preside. Ottenuto il trasferimento a Firenze, nella città del Fiore è andato in pensione nel 1996.

Mi si è offerta l’opportunità d’incontrare Pepè Occhiato nel gennaio del 1974 a Nicotera. Organizzato da Achille Solano, si svolgeva un interessante convegno con tema “Documenti di Civiltà in Terra di Calabria”, cui partecipavano il Direttore di “Studi Meridionali” Vincenzo Saletta, Dario Leone e altri. Naturalmente, siamo entrati immediatamente in cordiale amicizia. All’epoca andava di moda il ciclostile e trovandomi ad aver avviato nell’ambito della mia scuola una rivistina con titolo “Ϻαμερτινόν”, l’amico mi ha fatto tenere un pezzo sull’antica sua città, che avrebbe poi inoltrato a una vera rivista. Così lo accompagnava nel dicembre: «Intanto sarai tu a pubblicarlo per primo sul tuo numero unico. Ti ringrazio tanto dell’ospitalità e ti prego di conservarmene poi qualche copia. Spero d’incontrarti presto a Nicotera».

All’iniziale approccio seguiva a febbraio altro con i ringraziamenti e nel mese susseguente mi faceva pervenire due eccellenti fatiche apparse sull’Archivio storico di Calabria e Lucania e sui Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Arte Medievale e moderna della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Messina. Nel secondo periodico, diretto dal Prof. Alessandro Marabottini, col quale aveva sostenuto l’esame di laurea, si comprendeva una geniale indagine sulla datazione della cattedrale di Gerace. Lo studioso, perennemente sulle tracce delle cattedrali normanne in Calabria, darà vita in sequenza a “La SS. Trinità di Mileto e l’architettura normanna medioevale”, stampata con l’editore Abramo di Catanzaro nel 1977, “L’antica cattedrale normanna di Reggio Calabria”, accolta dal solito Archivio di Calabria e Lucania nel 1980, “L’Abbazia normanna di Sant’Eufemia”, in Melanges de l’école française de Rome, 1981” e “L’Abbazia di Corazzo”, in “Calabria Nobilissima” nel 1991. Sul volume consacrato alla Trinità così evidenziavo su Studi Meridionali: «Merito del prof. Occhiato, che considera esatte le intuizioni formulate dallo Schwarz, dal Bottari e dal Kronig e confuta alcune recenti e gratuite affermazioni del Bozzoni, è quello di avere scoperto il tracciato del più antico edificio abbaziale e di aver messo in luce gli schizzi planimetrici del XVI e XVII secolo. Sia gl’imponenti resti che le piante planimetriche, intelligentemente interpretati dallo storico miletese, possono ormai da soli mettere la parola fine ad un’appassionante vicenda».

Qualche tempo dopo ho accompagnato Occhiato a visitare i ruderi della vecchia Oppido e, soprattutto, i manufatti artistici che adornavano la chiesa parrocchiale di Terranova, che a lui, particolarmente versato sull’arte normanna, interessavano parecchio. Ad agosto del 1978 mi forniva gli indirizzi di due importanti riviste, cui collaborava e alle quali potevo far capo. Si trattava della belga “Byzantion” e del “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata” sulle quali poi appariranno alcuni saggi. D’allora si sono susseguiti vari incontri, sempre in tono affettuoso, in sedi di convegni, a Reggio, Seminara, Locri, nelle quali è stato presente con lavori di rilievo, ma anche a Mileto. Nella cittadina, che deve i natali al sommo Ruggero, nel 1984, in margine alle celebrazioni per il bicentenario del grande flagello, si officiava la presentazione di un ennesima qualificata fatica espressa in collaborazione con Filippo Bartuli, “Memoria inedita di Ignazio Piperni sull’antica città di Mileto (1744)”. Intanto nel 1982 avevo perorato la sua domanda a Socio della Società Napoletana di Storia Patria. Nella Deputazione Calabrese era inserito di già.

Proseguendo negli anni il professore miletese ha lasciato la Calabria e si è trasferito con la famiglia in Toscana, a Firenze e il suo primo incarico nella nuova residenza è stato a Calenzano. Così ha tenuto a scrivermi, tra l’altro il 10 settembre 1990 in risposta all’invio di talune pubblicazioni: ”Sono dispiaciuto per non averti incontrato a Mileto (…) mi avrebbe fatto piacere rivederti e offrirti un caffè: Tornato qui a Firenze (in terra aliena) ho trovato il tuo pacchetto con gli estratti (…) Ti capiterà di venire qualche volta a Firenze? Guai a te se non mi verrai a trovare”. Occhiato di consueto si offriva piuttosto aperto e gioviale. Infatti, godeva di un carattere che avvicinava subito le persone con un sorriso che si offeriva oltremodo accattivante.

L’appassionato di storia e arte trapiantato in Toscana a un bel momento, pur non mancando di riandare alle sue amate ricerche (nel 2001 esce “Ruggero I d’ Altavilla – Breve profilo di un condottiero”, Progetto 2000, Cosenza) a poco a poco si è venuto consacrando alla narrativa, ma invero ad una narrativa condotta in chiave storica. Nel 1989 nasce “Casarace il giorno che della carne cristiana si fece tonnina”, dove racconta di quell’esecrando episodio del 16 luglio 1943 allorquando tanti cittadini miletesi sono periti in seguito ad un terribile bombardamento. Per essa adotta una particolare terminologìa, un misto d’ italiano e dialetto, ma del pari servendosi di nuove invenzioni, che rende in tutta evidenza l’evento e le ambasce sofferte da una popolazione spesso impedita a soddisfare i più elementari bisogni. Eccone un significativo squarcio: “Sotto la rivoltura angosciante del transito dei cinquantaquattro quadrimotori e lo sgomentevole squasso delle deflagrazioni che poco appresso seguì, i cristiani miletesi e conturesi affidarono al cielo il grido della propria rivolta. Parvero svuotarsi di tutto nell’estasi un lussuriamento infinito dello spirito e dei sentimenti (…) povere minuscole creature sperdute in un universo ostile (…)”. Così me ne anticipava l’uscita: “Ti mando l’opuscoletto con l’anteprima di un mio libro di prossima pubblicazione. Anche se non è in linea con i tuoi interessi culturali, spero che ti possa incuriosire”. In verità, di primo acchito l’opera, così fuori dagli schemi consueti, non mi ha toccato più di tanto. Non sono riuscito proprio ad interessarmene. Me ne sono dovuto ricredere quando la stessa nel 2006 è stata riedita da Rubbettino per la collezione “Scrittori di Calabria” col titolo “lo sdiregno”. La sua lettura è stata per me una scoperta e mi son sentito sollecitato a far conoscere le mie impressioni non solo sulla penosa circostanza, da non ripetersi mai più, ma sul caratteristico linguaggio adoperato, che mi ha permesso di penetrare direttamente nella triste situazione di un tempo lontano. Il riscontro avveniva in data 11 dicembre 2006 e doveva restare l’ultimo. Così me ne scriveva: “Sono contento che Lo sdiregno ti piaccia. Ciao”.

Il lavoro di Occhiato, che non per nulla è stato insignito nel 2008 del Premio Palmi, dovrebbe essere conosciuto ed amato da tutti i calabresi. Esso si è aggiunge a “Olga Magoga, Cuntu di rizieri, di ori e del minatòtaro” (Cosenza 1998, 2000), singolare relazione in tre volumi sui giganti calabresi presenti nelle sagre paesane, che nel 2003 ha meritato il Premio Letterario Nazionale “Corrado Alvaro” e “L’ultima erranza” (Rubbettino, Iride 2007). Tra le valutazioni di critici che hanno ben giudicato l’impresa letteraria di Occhiato mi è gradito riportare quella di un critico del valore di Antonio Piromalli ch’è compresa nella sua “Letteratura calabrese” a proposito di “Casarace”: “Un’opera originale anche come esperimento linguistico è Casarace di Giuseppe Occhiato di Mileto (1934), il quale descrivendo l’attacco del 16 luglio 1943 ai dintorni di Mileto esprime una profonda pietas umana, rievoca usi e costumi di un periodo di fuoco e struttura i concetti tipo una sintassi dialettale che diventa lingua viva e trasparente del parlare calabrese. Questo documento merita un ampio studio”. L’impegno di Occhiato non si è certo esaurito con la ricerca storico-letteraria. L’alacre cittadino ha infatti agito variamente per la comunità. Ha promosso campagne di scavi in antiche chiese, è stato consulente per “I segni e la storia”, un programma televisivo della sede calabrese della Rai ideato da Pietro De Leo e ha collaborato all’istituzione nel 1997 del Museo Statale di Mileto. La morte gli ha impedito di completare un romanzo sull’opera dei pupi e una raccolta di genere folkloristico. Si è provveduto alla relativa edizione in tempi vicini a noi. Emilio Giordano ha offerto nel 2010 con Rubbettino “I mostri, la guerra, gli eroi la narrativa di Giuseppe Occhiato”. Nel 2015 l’Editrice Studium ha pubblicato “La grande magìa. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato” e Neil Novello nel 2019, ancora con Rubbettino, “Mitopoesia dell’eone: cunti, stellari, dicerie. L’opera di Giuseppe Occhiato”. In precedenza era stato proposto da Filippo Ramondino e Franco Galante ”Mileto-Studi Storici”, che è stato oggetto di una manifestazione pubblica a cura dell’Associazione Milesia e dell’Archivio Storico Diocesano nella stessa Mileto il 25 febbraio del 2017. Successivamente ad ottobre sarà riproposto a Vibo Valentia. Andando avanti, dal 13 agosto al 19 ottobre del 2019, all’eclettico Miletese è stata dedicata tutta una mostra all’insegna di “Giuseppe Occhiato ArteScrittura”. N’è stata curatrice Giulia Frega e il giorno dell’inaugurazione sono intervenuti il vescovo Renzo, il sindaco Giordano, il direttore del Museo Nigrelli e altri illustri ospiti.

Pepè Occhiato, com’era amichevolmente chiamato, è nato a Mileto il 10 novembre 1934 ed è morto a Firenze il 22 gennaio 2010. Orfano di entrambi i genitori ad un paio di anni di età soltanto (il padre è deceduto sulla nave mentre rientrava dall’Etiopia, la madre l’anno successivo), è stato affidato alla nonna materna. Ha frequentato il ciclo scolastico al liceo classico di Vibo Valentia e si è laureato in lettere moderne all’Università di Messina nel 1970 con una tesi sulla cattedrale di Gerace. Ha insegnato storia dell’arte e quindi ha avuto la nomina a preside. Ottenuto il trasferimento a Firenze, nella città del Fiore è andato in pensione nel 1996.

Mi si è offerta l’opportunità d’incontrare Pepè Occhiato nel gennaio del 1974 a Nicotera. Organizzato da Achille Solano, si svolgeva un interessante convegno con tema “Documenti di Civiltà in Terra di Calabria”, cui partecipavano il Direttore di “Studi Meridionali” Vincenzo Saletta, Dario Leone e altri. Naturalmente, siamo entrati immediatamente in cordiale amicizia. All’epoca andava di moda il ciclostile e trovandomi ad aver avviato nell’ambito della mia scuola una rivistina con titolo “Ϻαμερτινόν”, l’amico mi ha fatto tenere un pezzo sull’antica sua città, che avrebbe poi inoltrato a una vera rivista. Così lo accompagnava nel dicembre: «Intanto sarai tu a pubblicarlo per primo sul tuo numero unico. Ti ringrazio tanto dell’ospitalità e ti prego di conservarmene poi qualche copia. Spero d’incontrarti presto a Nicotera».

All’iniziale approccio seguiva a febbraio altro con i ringraziamenti e nel mese susseguente mi faceva pervenire due eccellenti fatiche apparse sull’Archivio storico di Calabria e Lucania e sui Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Arte Medievale e moderna della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Messina. Nel secondo periodico, diretto dal Prof. Alessandro Marabottini, col quale aveva sostenuto l’esame di laurea, si comprendeva una geniale indagine sulla datazione della cattedrale di Gerace. Lo studioso, perennemente sulle tracce delle cattedrali normanne in Calabria, darà vita in sequenza a “La SS. Trinità di Mileto e l’architettura normanna medioevale”, stampata con l’editore Abramo di Catanzaro nel 1977, “L’antica cattedrale normanna di Reggio Calabria”, accolta dal solito Archivio di Calabria e Lucania nel 1980, “L’Abbazia normanna di Sant’Eufemia”, in Melanges de l’école française de Rome, 1981” e “L’Abbazia di Corazzo”, in “Calabria Nobilissima” nel 1991. Sul volume consacrato alla Trinità così evidenziavo su Studi Meridionali: «Merito del prof. Occhiato, che considera esatte le intuizioni formulate dallo Schwarz, dal Bottari e dal Kronig e confuta alcune recenti e gratuite affermazioni del Bozzoni, è quello di avere scoperto il tracciato del più antico edificio abbaziale e di aver messo in luce gli schizzi planimetrici del XVI e XVII secolo. Sia gl’imponenti resti che le piante planimetriche, intelligentemente interpretati dallo storico miletese, possono ormai da soli mettere la parola fine ad un’appassionante vicenda».

Qualche tempo dopo ho accompagnato Occhiato a visitare i ruderi della vecchia Oppido e, soprattutto, i manufatti artistici che adornavano la chiesa parrocchiale di Terranova, che a lui, particolarmente versato sull’arte normanna, interessavano parecchio. Ad agosto del 1978 mi forniva gli indirizzi di due importanti riviste, cui collaborava e alle quali potevo far capo. Si trattava della belga “Byzantion” e del “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata” sulle quali poi appariranno alcuni saggi. D’allora si sono susseguiti vari incontri, sempre in tono affettuoso, in sedi di convegni, a Reggio, Seminara, Locri, nelle quali è stato presente con lavori di rilievo, ma anche a Mileto. Nella cittadina, che deve i natali al sommo Ruggero, nel 1984, in margine alle celebrazioni per il bicentenario del grande flagello, si officiava la presentazione di un ennesima qualificata fatica espressa in collaborazione con Filippo Bartuli, “Memoria inedita di Ignazio Piperni sull’antica città di Mileto (1744)”. Intanto nel 1982 avevo perorato la sua domanda a Socio della Società Napoletana di Storia Patria. Nella Deputazione Calabrese era inserito di già.

Proseguendo negli anni il professore miletese ha lasciato la Calabria e si è trasferito con la famiglia in Toscana, a Firenze e il suo primo incarico nella nuova residenza è stato a Calenzano. Così ha tenuto a scrivermi, tra l’altro il 10 settembre 1990 in risposta all’invio di talune pubblicazioni: ”Sono dispiaciuto per non averti incontrato a Mileto (…) mi avrebbe fatto piacere rivederti e offrirti un caffè: Tornato qui a Firenze (in terra aliena) ho trovato il tuo pacchetto con gli estratti (…) Ti capiterà di venire qualche volta a Firenze? Guai a te se non mi verrai a trovare”. Occhiato di consueto si offriva piuttosto aperto e gioviale. Infatti, godeva di un carattere che avvicinava subito le persone con un sorriso che si offeriva oltremodo accattivante.

L’appassionato di storia e arte trapiantato in Toscana a un bel momento, pur non mancando di riandare alle sue amate ricerche (nel 2001 esce “Ruggero I d’ Altavilla – Breve profilo di un condottiero”, Progetto 2000, Cosenza) a poco a poco si è venuto consacrando alla narrativa, ma invero ad una narrativa condotta in chiave storica. Nel 1989 nasce “Casarace il giorno che della carne cristiana si fece tonnina”, dove racconta di quell’esecrando episodio del 16 luglio 1943 allorquando tanti cittadini miletesi sono periti in seguito ad un terribile bombardamento. Per essa adotta una particolare terminologìa, un misto d’ italiano e dialetto, ma del pari servendosi di nuove invenzioni, che rende in tutta evidenza l’evento e le ambasce sofferte da una popolazione spesso impedita a soddisfare i più elementari bisogni. Eccone un significativo squarcio: “Sotto la rivoltura angosciante del transito dei cinquantaquattro quadrimotori e lo sgomentevole squasso delle deflagrazioni che poco appresso seguì, i cristiani miletesi e conturesi affidarono al cielo il grido della propria rivolta. Parvero svuotarsi di tutto nell’estasi un lussuriamento infinito dello spirito e dei sentimenti (…) povere minuscole creature sperdute in un universo ostile (…)”. Così me ne anticipava l’uscita: “Ti mando l’opuscoletto con l’anteprima di un mio libro di prossima pubblicazione. Anche se non è in linea con i tuoi interessi culturali, spero che ti possa incuriosire”. In verità, di primo acchito l’opera, così fuori dagli schemi consueti, non mi ha toccato più di tanto. Non sono riuscito proprio ad interessarmene. Me ne sono dovuto ricredere quando la stessa nel 2006 è stata riedita da Rubbettino per la collezione “Scrittori di Calabria” col titolo “lo sdiregno”. La sua lettura è stata per me una scoperta e mi son sentito sollecitato a far conoscere le mie impressioni non solo sulla penosa circostanza, da non ripetersi mai più, ma sul caratteristico linguaggio adoperato, che mi ha permesso di penetrare direttamente nella triste situazione di un tempo lontano. Il riscontro avveniva in data 11 dicembre 2006 e doveva restare l’ultimo. Così me ne scriveva: “Sono contento che Lo sdiregno ti piaccia. Ciao”.

Il lavoro di Occhiato, che non per nulla è stato insignito nel 2008 del Premio Palmi, dovrebbe essere conosciuto ed amato da tutti i calabresi. Esso si è aggiunge a “Olga Magoga, Cuntu di rizieri, di ori e del minatòtaro” (Cosenza 1998, 2000), singolare relazione in tre volumi sui giganti calabresi presenti nelle sagre paesane, che nel 2003 ha meritato il Premio Letterario Nazionale “Corrado Alvaro” e “L’ultima erranza” (Rubbettino, Iride 2007). Tra le valutazioni di critici che hanno ben giudicato l’impresa letteraria di Occhiato mi è gradito riportare quella di un critico del valore di Antonio Piromalli ch’è compresa nella sua “Letteratura calabrese” a proposito di “Casarace”: “Un’opera originale anche come esperimento linguistico è Casarace di Giuseppe Occhiato di Mileto (1934), il quale descrivendo l’attacco del 16 luglio 1943 ai dintorni di Mileto esprime una profonda pietas umana, rievoca usi e costumi di un periodo di fuoco e struttura i concetti tipo una sintassi dialettale che diventa lingua viva e trasparente del parlare calabrese. Questo documento merita un ampio studio”. L’impegno di Occhiato non si è certo esaurito con la ricerca storico-letteraria. L’alacre cittadino ha infatti agito variamente per la comunità. Ha promosso campagne di scavi in antiche chiese, è stato consulente per “I segni e la storia”, un programma televisivo della sede calabrese della Rai ideato da Pietro De Leo e ha collaborato all’istituzione nel 1997 del Museo Statale di Mileto. La morte gli ha impedito di completare un romanzo sull’opera dei pupi e una raccolta di genere folkloristico. Si è provveduto alla relativa edizione in tempi vicini a noi. Emilio Giordano ha offerto nel 2010 con Rubbettino “I mostri, la guerra, gli eroi la narrativa di Giuseppe Occhiato”. Nel 2015 l’Editrice Studium ha pubblicato “La grande magìa. Mondo e oltremondo nella narrativa di Giuseppe Occhiato” e Neil Novello nel 2019, ancora con Rubbettino, “Mitopoesia dell’eone: cunti, stellari, dicerie. L’opera di Giuseppe Occhiato”. In precedenza era stato proposto da Filippo Ramondino e Franco Galante ”Mileto-Studi Storici”, che è stato oggetto di una manifestazione pubblica a cura dell’Associazione Milesia e dell’Archivio Storico Diocesano nella stessa Mileto il 25 febbraio del 2017. Successivamente ad ottobre sarà riproposto a Vibo Valentia. Andando avanti, dal 13 agosto al 19 ottobre del 2019, all’eclettico Miletese è stata dedicata tutta una mostra all’insegna di “Giuseppe Occhiato ArteScrittura”. N’è stata curatrice Giulia Frega e il giorno dell’inaugurazione sono intervenuti il vescovo Renzo, il sindaco Giordano, il direttore del Museo Nigrelli e altri illustri ospiti.

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